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Opere

Alessandro Melchiorre
Da un atlante occidentale

Da un atlante occidentale

Radioscena musicale di Alessandro Melchiorre
su testo di Daniele Del Giudice

Gilda, Barbara Lazotti, soprano e voce recitante

Epstein, Silvio Castiglioni, voce recitante

Brahe, Renato Gabrielli, voce recitante

Edizioni Musicali Casa Ricordi

Produzione e realizzazione, AGON acustica informatica musica, Milano

Direttore della produzione, Michele Tadini

Coordinamento della produzione, Dalila Sena

Assistenti, Giorgio Colombo Taccani, Dario Palermo

Da un atlante occidentale è tratto dal testo omonimo di Daniele Del Giudice, Editore Einaudi

Da un atlante occidentale

Da un mancato incidente in un campo d'aviazione

Gilda - Vedere è tante cose, vedere è soprattutto provare un sentimento del vedere, e dunque questa storia la vedrò io per voi, che potete solo ascoltarla, la racconterò io, forse perché le donne sanno quasi sempre dove sono gli uomini, in quale punto della loro vita voglio dire, mentre difficilmente accade il contrario. Dunque racconterò la storia di Pietro Brahe, il giovane fisico delle particelle che lavora in un enorme anello di accelerazione nucleare sottoterra, alle falde del Giura, e di Ira Epstein, il vecchio scrittore venuto a vivere sulle rive del lago Lemano a Ginevra. Di questo scrittore, io Gilda, ero l'assistente, e ho assistito dunque al nascere della loro amicizia, un'amicizia duellata e provocatoria, sul filo di ciò che avevano in comune: il fatto di essere impegnati ciascuno in un proprio esperimento cruciale, un esperimento del vedere e della luce per Epstein, che ha smesso di scrivere le sue storie ed è uscito dopo tanti anni dall'altra parte della scrittura, in una visionarietà immediata, in un vedere oltre la forma nella forma fluente. Anche Brahe, con i suoi macchinari e i suoi laboratori, i suoi compagni e le sue notti insonni, lavora a un esperimento cruciale del vedere, vedere le particelle di una materia per la quale non c'è più immagine, vedere oltre il vedere. Ma a l'uno e all'altro ciò che sta più a cuore è soprattutto un sentimento, un sentire che sia all'altezza della visione alla quale l'epoca sembra chiamarli.

Nel giardino di Epstein

Epstein - Lei cosa vede?

Brahe - Quando? In generale, adesso, nel mio lavoro o che?

Epstein - Adesso, mi dica che cosa vede adesso, in questo istante. Chiuda un attimo gli occhi e li riapra. Se vuole li tenga chiusi finché il nero non le sembra perfetto, senza un'ombra di immagine. Si concentri sul nero fino a farlo diventare più nero che può. Poi apra gli occhi e mi dica cosa vede?

Brahe - C'è un premio?

Epstein - No. Purtroppo deve considerare la sua prestazione visiva del tutto gratuita.

Brahe - (Dopo una pausa di perplessità) Da dove devo cominciare?

Epstein - Da dove vuole lei.

Brahe - Dalla rimessa?

Epstein - La rimessa va benissimo.

Brahe - La rimessa.

Epstein - E dopo?

Brahe - Beh, ci sono le macchine.

Epstein - Quali macchine? Che tipo, che modello?

Brahe - Una Chevrolet con la capote di tela bianca targata Ginevra. Una Saab verde, con lo spoiler dietro, la targa è di Zurigo. Poi c'è la mia.

Epstein - La dica, no? O non la vede?

Brahe - C'è una Fiat 131 lunga, blu notte. Targata Ginevra. (Quasi tra sé): La Saab mi sembra quella tenuta meglio.

Epstein - (In tono appena scherzoso) Lasci stare ciò che le sembra. La prego, mi dica ancora che cosa vede, ma soltanto quello che vede, quello che c'è.

Brahe - Un battello, più o meno a metà del lago.

Epstein - Un battello o un vaporetto o un motoscafo o un flying-dutchman?

Brahe - (dopo un leggero sospiro) Un battello per turisti, col ponte posteriore ricoperto di plexiglas. (Dopo una pausa) Le marche dei battelli io non le conosco.

Gilda - (narrativo) Brahe dice piano ciò che vede, senza voltarsi a controllare le reazioni di Epstein che del resto non lo guarda, non segue un ordine, guarda quello che vede, quello che c'è, passando da una cosa a un' altra…

Epstein - E le persone? Lei vede soltanto gli oggetti, le cose. Possibile che non ci siano le persone? Ma dove mi ha portato?

Brahe - Ma questa è casa sua.

Epstein - (In tono scherzoso) Ma io qui sono in affitto! (Dopo una pausa, più serio) Ci saranno anche le persone, no? La prego, mi dica le persone che vede.

Brahe - C'è un'uomo in pantaloni eleganti, e giacca meno elegante. E' chino su una pianta di genziana. Una donna giovane coi capelli biondi tagliati corti, e un trucco leggero. Ha un bel passo. Va e viene da un tavolo di cristallo, da una scaffalatura di libri. Ogni tanto guarda in qua.

Epstein - (Dopo un attimo di silenzio) E io?

Brahe - Lei?

Epstein - Io. Io non ci sono? Non mi dirà che non mi vede, sono così vicino. O forse non esisto?

Brahe - (Dopo una lunga esitazione è come se avesse cercato le parole) Lei ha capelli bianchi un po' mossi, un viso leggermente scuro, occhi grigi; lei ha una camicia di flanella a quadri con le maniche rimboccate ai polsi, e un cronometro da polso anni Quaranta e un cinturino di coccodrillo, dei pantaloni di tela col risvolto e scarpe di cuoio basse, a mocassino.

Epstein - La ringrazio. (Dopo un attimo di silenzio, e leggermente provocatorio) Adesso non resta che lei.
Brahe - (lrremovibile. Io sono io. Non mi vedo. Se non nelle estremità.

Epstein - Non volevo turbarla.

Brahe - Non sono turbato.

Epstein - Però è curioso, uno le chiede di vedere e lei vede una Chevrolet, un battello, un tagliaerba. Le persone le vede solo dopo. Però se uno le chiede di lei, lei pensa subito di essere qualcuno. Non le pare esagerato?

Brahe - (Ironico) Eh sì. Come può essere accaduto?

Epstein - Non lo so. Guardando si vede solo lo sfondo, pensando si pensa solo la figura. Mai le due cose assieme. Tutta la mia vita, tutto il mio lavoro non è stato altro che raccordare le persone agli oggetti, e gli oggetti all'esperienza e ai sentimenti, alla percezione di sé, alle idee. Forse quello che ho inventato fin qui non è altro che una lente speciale, che permette di vedere lo sfondo e la figura nella loro relazione, in pari dignità. Lei da ragazzo sarà stato portato per la matematica, o per le scienze. Io ero portato per le persone. Me ne intendevo per istinto, come un animale. Scrissi un "Atlante delle andature", la prima cosa che ho scritto, lo usavo come gli altri usano quello di geografia.

Gilda - (Narrativo) Più tardi, al momento del congedo Epstein accompagnò Brahe alla macchina…

Epstein - Sa che Einstein insegnava a Praga nel 1911 e nel '12?

Epstein - Naturalmente lì c'era anche Franz Kafka, a Praga, voglio dire.

Epstein - Lei pensa che non si siano mai incontrati?

Brahe - Non so.

Epstein - Vuole che in due anni non si siano mai nemmeno incrociati per strada?

Visionari di quel che c'è

Epstein - (In una sorta di monologo interiore, ma ordinato) Avrei dovuto essere più esplicito con lui. Ma come potevo? Come potrei spiegargli che io vedo le storie compiutamente? Non spezzoni o immagini o pensieri, ma storie perfettamente realizzate, finite.
E chi crederebbe alle regole che mi sono dato all'inizio, se io stesso ho scoperto piano piano che non erano altro che la forma di ciò che accadeva, erano i dati di fatto della mia condizione? Avrei potuto spiegare a lui che ogni storia nasceva soltanto da ciò che vedevo, non dalla memoria; che ogni storia doveva essere portata a termine con rigore, non abbandonata per un'altra, provata e riprovata nel tempo stesso della sua visione?
Avrei potuto dirgli: vede, è come se si fosse sfondata una valvola, è come se io avessi aperto una porta credendo di entrare, e invece sono uscito? Lei riesce a capire? Riesce a sentire? Avrei dovuto dirgli: è strano, lei guardando vede ancora le cose, proprio lei che lavora nell'assoluta scomparsa delle cose! Sì, potevo dirglielo fuori dai denti: non vede come le cose che cominciano ad esserci, che ci saranno, sono pura energia, pura luce, pura immaginazione? Non vede come le cose cominciano ad essere non-cose? Come non chiedono più movimenti del corpo ma sentimenti? Non più gesti ma intelligenza, e percezione? Non sente che sono linee di forza intimamente connesse alle nostre linee di forza, …senza più oggetti in mezzo?
Non sente come tutto è più leggero, pura velocità?

In volo sul Giura

Gilda - (Narrativo) Epstein tirò giù il cupolino e bloccò la maniglia, tagliando il rumore che veniva dall'esterno; controllò la pressione di alimentazione arricchì la miscela. Brahe regolò l'altimetro sull'altitudine e sulla pressione dell'aeroporto, controllò la depressione degli strumenti giroscopici, sbloccò l'orizzonte artificiale. Epstein allacciò le cinture, anche Brahe le allacciò. Epstein guardò Brahe, diede potenza. L'aereo si mosse in avanti. Brahe fece un cenno al meccanico che fece un cenno contro il cielo ancora rosso. Da quel momento l'aria non fu più la stessa…

Epstein - Dove vuole che andiamo?

Brahe - Caraibi?

Epstein - Non basterebbe il carburante. (Dopo una pausa) Lei non mi ha mai invitato a vedere dove lavora. Non potremmo andare lì?

Brahe - Sì, ma da fuori non si vede niente.

Epstein - Non importa. Se dobbiamo girare in tondo, almeno che il giro abbia un senso.

Brahe - Echenevex è laggiù alle falde del Giura.

Gilda - (Narrativo) Poi, sopra Echenevex, Brahe riconobbe il campanile e la piazza, solo che le cose che si è abituati a vedere dal basso viste così sono disorientanti: troppo rovesciate, troppo mobili, senza poter tornare indietro su un dettaglio… Doppiavano in aria a circa settanta nodi la rotazione che avveniva nell'anello sottoterra in vuoto d'aria e alla velocità della luce. Ogni volta che ci passavano sopra e Brahe dice: laggiù e spiega di che cosa si tratta, Epstein sposta gli occhi dagli strumenti alla visione sotto leggermente obliqua. Guarda attento ma senza curiosità eccessiva. Guarda come se sapesse già o come se questo fosse soltanto un dato di partenza.

Epstein - Lei non mi ha mai parlato del suo esperimento.

Brahe - Lei non me l'ha mai chiesto

Epstein - E' un segreto?

Brahe - No. Chiunque può venire a vedere. Non ci sono né guardie né misteri. Solo bisogna che avverta prima, perché giù le porte sono automatiche per via della radioattività: se vengono aperte senza precauzione da qualcuno durante la presa dati, si ferma tutto.

Gilda - (Narrativo) Epstein allungò la mano verso il cruscotto… sfiorò la manetta e diede ancora potenza. Ci fu un'accelerazione progressiva, un'inclinazione lieve.

Epstein - E allora? Il suo esperimento?

Gilda - (Narrativo) Per un attimo Brahe cercò le parole, le immagini, le analogie; pensò perfino i gesti della mano e delle dita, come un attore che si prepari a rendere fisico un sentimento. Ma appena cominciò a dire 'come', a dare solidità a ciò che non ne aveva, a rendere visibile ciò che non lo era, a collocare nello spazio ciò che era pura probabilità, e a cercare una qualsiasi cosa tra le forme del mondo a cui paragonarlo, Epstein lo interruppe:

Epstein - No, non così. Così non mi serve a nulla. Ciò di cui lei parla non assomiglia ad alcunché, lo sa benissimo. Io voglio che questa differenza si senta. Non capisce? Le cose che ci saranno vengono da lì, e saranno non cose. Perché vuole che io le immagini come tutto ciò che già c'è, e che sta scomparendo? Perché vuole che io le riceva senza il loro nome, per arbitrario che sia? Perché per ogni cosa che dice manda avanti un gemello, che io già conosco, impedendomi di farmi un'idea dell'altro? Non abbia paura di disorientarmi, dato che ciò di cui lei parla è in effetti del tutto fuori dal mio orientamento. La prego, ricominci da capo. Me ne parli come ne parlerebbe con Rudiger, me ne parli come se parlasse tra sé.

Gilda - (Narrativo) Brahe annuì, rispose: Come vuole, e per la prima volta parlò a Epstein di ogni cosa chiamando ogni cosa con il proprio nome, la propria sigla, la propria formula…
Epstein ascoltando si sporse verso Brahe, e Brahe parlando si sporse verso Epstein, ed erano così raccolti uno verso l'altro, e del resto il rumore del motore era così continuo e avvolgente che nessuno, dietro di loro, avrebbe potuto sentire nulla.

La notte dei fuochi d'artificio

Epstein - Ci furono due botti secchi, senza luce, e i fuochi cominciarono. Linee traccianti entravano dal basso nel riquadro di cielo buio, esplodevano in alto con un boato perforante, si divaricavano in un punto dove la materia diventava luce, probabilmente il sodio luce gialla, il bario luce verde, il rame luce azzurra, il magnesio luce bianca, lo stronzio luce rossa, e il calomelano... Lei conosce il calomelano? Il calomelano luce celeste. Linee di luce si diramavano concentriche e riscendevano giù smorzandosi nei piccoli fuochi d'apertura, non troppo intensi per catturare l'occhio senza offenderlo e disporlo a una gradualità. Subito dopo, senza che loro due avessero il tempo di voltarsi e di fare apprezzamenti, altre salve portarono in quota raggiere di lance azzurre da cui nascevano raggiere di lance verdi, luci rapidissime e fulminanti, alle quali probabilmente i nitrati e i clorati, veri magazzini di ossigeno, davano velocità di combustione, e così, l'aria si trasformava in luce…

(Riprendendo dopo una pausa, e un leggero sospiro)

... E fuochi poi, più lenti e duraturi, ritardati dal carbone di salici e di pioppi che i pirotecnici tagliano apposta in primavera, quando il flusso della linfa scioglie i sali minerali, o ritardati dall'aggiunta di gomma arabica sgorgata dalle acacie, e in questo modo gli alberi si trasformavano in luce, giustificando almeno in parte la forma a fiore dei fuochi successivi, fiori luminosi con lunghi stami rossi proiettati in cime ombrelliformi come gli eucalipti, fiori con petali raggiati deflagranti in una corona di appendici a stella, dal blu al porporino al bianco come la passiflora, fiori dal calice allungato che scoppiava in una colona doppia e tripla di sfumature viola come la granadilla, fiori con un grosso piumino di stami rabbuffati al centro della corolla giallo oro come l'iperico, fiori che esplodevano in terminali oblunghi lasciando fuoriuscire petali filiformi bianchi e rossi e rosa e violacei come il papavero da oppio, fiori scagliati nel cielo in dense pannocchie luminose viola, formate a loro volta da infinite efflorescenze come la buddleia, e fiori a due colori soltanto, semplici, dove un androceo di massima potenza si divaricava all'indietro di fronte a un gineceo aspettando il momento, e fiori che allo zenith delle loro traiettorie ricadevano in calici lunghi, tubulosi, eh sì, non potrei dire che tubulosi, viola come le fucsie, si spegnevano e chiudevano quella parte dei fuochi…

(Riprendendo dopo una pausa, e un leggero sospiro)

...Però, intanto, i fiori erano diventati luce, e non soltanto i fiori ma anche gli animali sia per via dell'insetto indiano, di cui non ricordo il nome, che secerne dalla bocca la gomma lacca che pare sia fondamentale per l'impasto pirotecnico, sia, soprattutto, per la breve salva d'intermezzo che si accese poi, con fuochi non molto alti, sottilissimi e disparati come le antenne degli animali che vivono incollati al fondale marino, certi echinodermi di colore violetto con gli aculei cangianti molto ravvicinati, o fuochi che si aprivano a flabello come i tentacoli finissimi bianco abbagliante delle protule tabularie, o certi policheti sedentari, probabilmente i policheti sedentari lei non li ha presenti, però hanno una corona di fibre fluttuanti e cigliate, di una luminosità giallo oro. Per la presenza dell'acido gallico, se è ancora questo che dà sonorità alle miscele, esplodevano in sibili prolungati, rabbiosi, come il verso di animali inferociti...

(Riprendendo dopo una pausa, e un leggero sospiro)

...Ma il ferro, soprattutto il ferro stava diventando luce ...

(Riprendendo dopo una pausa, e un leggero sospiro)

…Ci fu una pausa di buio e loro due aspettavano che nel cielo esplodesse qualcosa di nuovo, ma la luce arrivò di colpo dal basso, a filo del lago, dove si accesero due vascelli a pelo dell'acqua, due brigantini di sagome di legno e quando si spensero prese corpo, veramente dal nulla, un emisfero settentrionale di tracchi e bengala, coi continenti incandescenti e due tempietti opposti uno di torce bianche al magnesio e l'altro di cupole rosse, e dall'uno all'altro cominciarono ad andare e venire castagnole e mortaletti e razzi incendiari che ricadevano dopo una parabola piuttosto breve infiammando di vampe multicolori i tempietti. A loro due sembrò un po' buffo il modo in cui Ginevra, città della pace, esorcizzava la guerra, però intanto la guerra era diventata se non proprio luce, sempre più guerra di luce…

(Riprendendo dopo una pausa, e un leggero sospiro)

...Poi cominciò l'ultima parte dei fuochi, con una salva di fuochi che scoppiarono a una quota più alta, con più profondità di dimensioni, più molteplicità di dimensioni, più intense di luce, più sonore nel botto; granate a serpentelli che tracciavano nel buio ellissi luminose, e del resto in geometria anche l'ellisse ha i suoi fuochi, granate raggianti che esplodendo striavano il cielo di linee parallele convergenti o divergenti a partire dalla concentrazione di un fuoco, granate a pioggia con un'infinità di punti luminosi ciascuno secondo la propria traiettoria, granate a paracadute - le cui particelle luminose decadevano in parabole lente e sparivano, granate a girandolette deflagranti in vortici luminosi e curve e spirali perfettamente simmetriche nello spazio, pura forma, e interi lembi di spazio e di buio che si inarcavano in enfiature di luce e si piegavano in voragini oscure, secondo altre geometrie più complesse, comprendenti nella simmetria anche il tempo, fino alla perfezione circolare delle granate a sfere che cominciarono a esplodere in successione, enormi globi di stelle violette, o stelline rosse come il rosso verso cui nello spettro si sposta la luce delle galassie in allontanamento, probabilmente infinito, se l'universo è aperto, o globi di stelline azzurre come l'azzurro verso cui nello spettro si sposta la luce delle galassie se l'universo sarà chiuso e quelle rimbalzando contro il bordo estremo torneranno indietro; e ogni globo prima ancora di spegnersi ne originava un altro per via delle micce che nel cartoccio raccordavano le diverse granate come un cordone ombelicale, ogni globo si proiettava velocissimo in avanti e giù e poi frenava di colpo, totalmente avvolgente, come se volesse risucchiare la città e il lago e le barche e il pontone e la chiatta dove in un riverbero acido si vedevano gli uomini dei fuochi correre ai comandi, e perfino i due nel giardino. un po' protesi nelle poltrone, e col viso all'insù...

(Riprendendo dopo una pausa, e un leggero sospiro)

…Gli ultimi fuochi, poi, furono così incalzanti che in pratica non c'era mai un intervallo di buio, ma solo un'infinitesima porzione di secondo in cui le sfere puntiformi spegnendosi restavano nei loro occhi, e gli occhi le riproducevano istantaneamente nei colori complementari, in verde se erano state rosse, in arancione se erano state blu, in giallo se erano state porpora, dato che l'occhio è custode e garante dello spettro. Lo sapevano anche gli uomini dei fuochi d'artificio, e alternavano i colori a un ritmo sempre più infernale ma in modo da sfruttare anche i colori che l'occhio secerne come una ghiandola sollecitata, alternavano il rosso al giallo e il blu al porpora, colori che esplodevano con dentro soltanto colore, colore senza più dentro né fuori, colore fuori e colore dentro, forse perché l'essenza è sempre volatile, come la canfora che in polvere rende più brillanti i fuochi artificiali e in quadratini completamente salati la si ritrova negli armadi alla fine dell'estate, colori sempre più luminosi, fuochi sempre più alti, botti sempre più forti, blu e porpora, arancione e verde e anche il bianco, che non lo si pensa mai come un colore ma soltanto come luce, e luce e luce e luce e luce. - Buio.

La notte dell'esperimento cruciale

Scesero nella hall sperimentale. La notte durò come qualsiasi altra né più né meno anche se sembrò di volta in volta più lunga o più breve. Con anse di lentezza e poi dei tratti dritti e rapidi dove era difficile credere che il tempo fosse già passato.
...Brahe, poco prima delle quattro, seguendo le visualizzazioni di eventi ormai molto puliti, molto netti e inconfondibili con alcunché, dato che non si erano mai visti prima, vide le linee che nascevano e morivano rapidissime generando nella collisione e nel reciproco attraversamento piccoli fasci di rette e di circoli e di vortici. Ma le tracce sparendo lasciavano immaginare una simmetria così radicale e sorprendente per cui ciò che prima appariva come manifestazione di forze diverse e separate poteva essere considerato nell'unificazione di una grande legge. Una sola e la più semplice. Una legge simultanea della differenza e dell'identità di cui in quel momento vedevano, come erano abituati a vedere loro, la prova e il compimento. Ed ebbe chiaro che da lì sarebbero venuti nuovi oggetti, portando con sé comportamenti e percezioni e modi di essere e sentimenti e capì di colpo ciò che aveva capito Epstein, e provò tenerezza per la pazienza con cui Epstein aveva voluto spingersi fin qui, fin nella gola del leone per prendergli la spina, e sperò con tutte le sue forze che non soltanto per questo l'avesse cercato. Che non soltanto per questo fossero diventati amici né avrebbe dimenticato la dolcezza composta con cui Rüdiger, quando cominciarono a vedere. aveva detto: "E' così bello. Così incredibilmente bello". Poi ricordò che si era addormentato.

La visione finale di Epstein

Gilda - Epstein vede il giovane che lo aspetta, prima in mezzo al campo con le braccia conserte, e poi sulla piazzola: lo vede fare un passo avanti, alto com'è, con le sopracciglia lunghe, circonflesse, e immagina già che cosa pensa.
…Vede Gilda che accosta una porta con le mani dietro la schiena…
…vede Brahe che si sfiora un sopracciglio…
...Li vede entrambi che dormono. Lei col viso nell'ascella di lui, lui col naso vicino al suo orecchio...
…vede Brahe e un uomo più anziano, vestito in modo molto colorato, che risalgono in superficie da un acceleratore dopo una notte cruciale, stupito di essere e fuori, usciti definitivamente dalle azioni e dai gesti e dalle emozioni di fino a poco fa, e si guardano senza parlare, per non rompere l'intimità di ciò che li ha legati…
… e vede Brahe che nel sole basso del mattino, lo stesso sole che c'è fuori della galleria taglia il Quai Gustave Ador saltando gli stop i semafori i vigili, in una guida davvero insolita per Ginevra, e guarda l'orologio sul cruscotto, e imballa il motore col piede metà sul freno e metà sull'acceleratore per non perdere nemmeno una frazione di secondo, e imbocca il piazzale contromano, e lascia la macchina nella flla dei taxi, e corre, alto com'è, sulla gonna scannellata della stazione, leggendo al volo il tabellone delle partenze, pensando già a dov'è il binario, ma all'incrocio con la galleria gli resta nella coda dell'occhio l'immagine di un uomo con i capelli bianchi fermo davanti a una vetrina, che guarda con le braccia conserte un plastico di treni elettrici, che ha visto tutto questo e che in questo istante, nell'istante stesso in cui Brahe gli si para davanti col fiatone, smette di vederlo.

Brahe - Credevo che non sarei mai arrivato in tempo.

Epstein - C'è ancora qualche minuto.

Brahe - Ho sentito la radio.

Epstein - Anche per te ci sono novità.

Brahe - E' una giornata di molte novità, per me e per te.

Epstein - Bene.

Brahe - E adesso?

Epstein - Adesso dovrebbe cominciare una storia nuova.

Brahe - E questa?

Epstein - Questa è finita.

Brahe - Finita finita?

Epstein - Finita finita.

Brahe - La scriverà qualcuno?

Epstein - Non so, penso di no. L'importante non era scriverla, l'importante era provare un sentimento.