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Opere

Luigi Nono
La fabbrica illuminata
(1964)
Testo di Giuliano Scabia - e un frammento da "Due poesie a. T" di Cesare Pavese
per Soprano e Nastro a 4 canali


Durata: 17:00
Editore: Ricordi

La fabbrica illuminataoccupa una posizione di grande rilievo e importanza nel lungo tragitto artistico di Luigi Nono. Con quest�'opera il compositore veneziano utilizza per la prima volta in modo esteso, dopo il caso dell�'Omaggio a Emilio Vedova  del 1960 per nastro magnetico, la strumentazione elettronica, inaugurando così un percorso di attenzione per le tecnologie avanzate e per le strumentazioni non tradizionali che condurrà, attraverso trasformazioni anche profonde di scrittura, di poetica e di strumentazione stessa, fino ai rapporti intensi e proficui stabili con le tecniche computazionali nelle straordinarie composizioni degli anni Ottanta.
Ma la Fabbrica pone all�'ascoltatore anche altri motivi di interesse. La densa ed eterogenea stratificazione di materiali sonori utilizzati e l�'elaborato intreccio delle diverse fonti acustiche si accompagna ai testi (a loro volta stratificati ed eterogenei per collocazione e provenienza) scelti, scritti ed elaborati da Giuliano Scabia. Sul piano dei materiali acustici Nono si muove qui su tre diversi livelli: rumori grezzi registrati all�'Italsider di Genova-Cornigliano (in pratica i rumori del luogo di lavoro e in particolare quelli della lavorazione dell�'acciaio nel lungo percorso compreso tra la fusione nell�'altoforno e la  formazione   del   prodotto  laminato finale, registrati da Nono con il finissimo supporto operativo del tecnico Marino Zuccheri), suoni elettronici originali creati presso lo Studio di Fonologia della RAI di Milano; registrazioni dal vivo o elaborate delle voci del soprano e del coro impegnate nella letture del testo.
Non si tratta qui evidentemente solo di una felice e impegnata coniugazione di fonti sonore acustiche, concrete ed elettroniche. Il paesaggio sonoro del mondo operaio, considerato come luogo di lavoro, dunque di sfruttamento, di alienazione e di lacerazione anche fisica, entra a far parte senza mediazioni filtrate o stilizzanti dell�'opera musicale, operando un allargamento dei limiti dell�'universo acustico inteso come territorio cosiddetto musicale. Il laminatoio e la colata d�'acciaio entrano con il loro universo non solo sonoro nell�'opera musicale, trascinando con sé espansivamente i segni infine anche acustici della fabbrica. Ma sono dunque l�'espansione territoriale e l�'inedita dislocazione dell�'ascolto degli strati trasformati e condotti da Nono a integrarsi con le parole, con i testi che Giuliano Scabia elabora per la fabbrica illuminata. Anche qui si tratta di materiali disomogenei, cioè localizzati in regioni eterogenee del letterario e dell�'extraletterario. Se infatti l�'opera si conclude con la voce sola, sui versi emozionanti tratti da Pavese («Passeranno i  mattini/passeranno  le angosce/non sarà così sempre/ritroverai qualcosa»), su altri registri di tutt�'altra natura testuale si articolano i flussi di parole scelti o rielaborati da Scabia: oltre ai versi, dunque, materiali dedotti da testimonianze e documenti relativi alla condizione operaia nella fabbrica, per realizzarsi, come dice lo stesso Scabia, «qualcosa che fosse radicalmente nuovo rispetto alla tradizione del libretto per melodramma e anche rispetto ai testi del teatro musicale contemporaneo». Così anche il testo, allargandosi prepotentemente oltre il perimetro della tradizione librettistica, porta con sé, e l�'ascolto ne è infine una trasparente testimonianza, infiniti mondi e contesti di riferimento anche sonoro, fonico, linguistico posti in rapporto, come direbbe Michail Bachtin, costantemente e instancabilmente dialogico. L�'esecuzione della Fabbrica prevede una dislocazione di quattro altoparlanti nei quattro angoli del perimetro che circonda il soprano. La novità compositiva tocca dunque anche il lato della spazializzazione, di una nuova appropriazione da parte del compositore e da qui anche del suo ascoltatore, del luogo e dei suoi confini. Per finire va detto che La fabbrica illuminata è una composizione impegnata. Racconta e denuncia lo sfruttamento del lavoro operaio. L�'intensa e ariosa conclusione sui versi di Pavese  indicano  ed  evocano, ancora (o tanto più) oggi, la malinconia per un futuro senza angosce, cioè senza «ustioni» o «esalazioni nocive» o «luci abbaglianti», in cui poter «ritrovare qualcosa»
Roberto Favaro
(per gentile concessione dell'autore)

La fabbrica illuminata
Testo di Giuliano Scabia,
e un frammento da "Due poesie a. T" di Cesare Pavese

1. fabbrica dei morti la chiamavano
esposizione operaia
a ustioni
a esalazioni nocive
a gran masse di acciaio fuso

esposizione operaia
a elevatissime temperature
su otto ore solo due ne intasca l'operaio

esposizione operaia
a materiali proiettati
relazioni umane per accelerare i tempi

esposizione operaia
a cadute
a luci abbaglianti
a corrente ad alta tensione
quanti MINUTI-UOMO per morire?

2. e non si fermano MANI di aggredire
ININTERROTTI che vuota le ore
al CORPO nuda afferrano
quadranti, visi: e non si fermano
guardano GUARDANO occhi fissi : occhi mani
sera giro del letto
tutte le mie notti ma aridi orgasmi
TUTTA la citta dai morti VIVI
noi continuamente PROTESTE
la folla cresce parla del MORTO
la cabina detta TOMBA
tagliano i tempi
fabbrica come lager
UCCISI

3. passeranno i mattini
passeranno le angosce
non sarà così sempre
ritroverai qualcosa

(testo ricevuto da parte di Richard Bernas)