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Opere

- bio - works - recordings
Niccolò Castiglioni - Biografia
Milano, 1932 - Milano, 1996
Romanze (1990-94)
versione per orchestra d'archi
© Casa Ricordi - Milano
Terzina
per soprano e 8 strumenti
© Ricordi - Fonit Cetra

Ha compiuto gli studi di pianoforte e di composizione diplomandosi al Conservatorio di Milano dove poi ha insegnato compo-sizione. Ha frequentato dal 1958 fino al 1965 i Ferienkurse für neue Musik di Darmstadt. Dal 1966 al 1970 ha soggiornato negli Stati Uniti dove ha insegnato composizione nelle Università di Michigan (Ann Arbor), di Washington (Seattle) e di California (San Diego).

È autore assolutamente atipico e sempre lo è stato, fin dagli anni Cinquanta e Sessanta, non solo nell'area culturale italiana, ma a livello internazionale. Alcuni tratti caratteristici della sua opera sono noti al pubblico già da quei decenni fervidi e infuocati, quando Castiglioni intraprendeva un cammino tutto suo, distaccandosi dai percorsi allora più frequentati con lungimiranza assolutamente inquietante. Castiglioni ha infatti anticipato scelte e convinzioni che solo oggi si stanno gradualmente chiarendo. Sono state le ragioni musicali a condurlo là dove il risultato e l'efficacia poetica erano gli unici, imprescindibili obiettivi. Così facendo, con quel garbo che è in lui tratto esistenziale ed estetico insieme, guardando con attenzione ad esperienze magari lontane ma comunque importantissime, ha seguito il pensiero più profondo, più impegnativo del nostro secolo. Alla luce di un'odierna consapevolezza, sembra quasi incredibile la modernità della sua posizione storica. Dall'analisi delle partiture risulta evidente un'evoluzione continua, una ricerca che lo ha portato a mutare, ancora recentemente, il volto delle sue opere. Eppure è altrettanto chiaro che il vasto catalogo è riconducibile ad una matrice comune, mai tradita o contraddetta, costantemente approfondita, indagata, scavata fino alle ultime,densissime esperienze. E infatti, a parer mio, proprio nei lavori di questi anni Castiglioni, che pare avere ulteriormente spogliato un linguaggio già sobrio, riesce a comunicarci tutta la stratificazione linguistica e poetica che si è impercettibilmente accumulata nella sua opera. Volendo a mia volta "accumulare" segni e indici di una creatività che non si può in questo ambito indagare dettagliatamente, penso alla delicatezza, alle preziose filigrane, all'importanza del parametro timbrico come dimensione strutturale, alla scrittura talvolta aforistica di lavori come Movimento continuato per pianoforte e 11 strumenti (1959), Aprèslude per orchestra (1959), Tropi per flauto, clarinetto, violino, violoncello, pianoforte e percussione (1959), Eine kleine Weihnachtsmusik per orchestra da camera (1960), Gyro per coro e 9 strumenti (1963). Colpisce, fin da questa prima produzione, la bellezza, la piacevolezza del materiale sonoro; piacevolezza che non si esaurisce affatto in arabeschi o decorativismo ma che dipende dall'organizzazione del materiale in base alle leggi e ai valori della percezione. Castiglioni non ha snobbato presuntuosamente le linee di ricerca indagate dalla psicologia negli ultimi decenni. Scopriamo infatti che la musica può e deve aprirsi a pensieri altri, come è sempre stato e non può essere altrimenti, può e deve farsi veicolo e mezzo di comunicazione. Castiglioni è stato uno dei primi compositori d'avanguardia ad avere capito che la materia ha una sua voce, e l'ha ascoltata. Tocchiamo qui uno dei punti centrali della sua poetica: poiché considera il rapporto uomo-natura come inscindibile, è logico che nei suoi lavori non esistano progetti o 4 prese di posizione aprioristiche, e si comprende anche il fascino così epidermico, travolgente, esplicito della natura montana, e in particolare dell'amata terra trentina. La natura, in Castiglioni, non è il sublime romantico ma il macrocosmo goethiano nel quale si rispecchia ogni microcosmo, umano e non. L'amore per Webern passa anche attraverso un'analoga concezione estetica e morale. Riferirsi alla natura, per Castiglioni, non è contemplazione o evasione, è anzi impegno totale, rigoroso, appassionante. Ciò che la psicologia e la filosofia fenomenologica ci suggeriscono trova nelle sue opere l'evidenza poetica che sintetizza le direzioni di senso provenienti da altre aree di pensiero, come oggi deve essere. Ascoltare le ragioni della materia significa innanzitutto conoscerle, sia nelle loro caratteristiche fisiche, percettive, sia nelle loro maschere storiche e linguistiche.

La religiosità dei testi e il candore spirituale volutamente posti in primo piano nascondono e comprendono una tradizione alchemico-illuministica che affida, per contrasto, proprio al corpo, un ruolo fondamentale. In Veni Sancte Spiritus per soli, coro e orchestra, del 1990, il materiale tende alla dispersione; prevale una dimensione orizzontale, una direzionalità timbrica sempre variata dove si colgono, sensorialmente, sfondi e frammenti lirici, con pochissime sezioni strumentali sovrapposte. È il corpo che percepisce e che in tale atto non può scindere se stesso da un mondo, di oggetti o di idee, considerato come chiuso, rigido, dato. È il corpo che ha delle intenzioni, che vive in un delicato rapporto interno-esterno. E se il sistema tonale (rievocato esplicitamente in lavori come Ode per due pianoforti, fiati, percussione e Figure per voce e orchestra, ad esempio) è solo uno degli spazi possibili nei quali corpo dell'uomo e corpo della natura si sono incontrati, non c'è nessuna pregiudiziale a scoprirne e inventarne altri. Ma devono essere altrettanto rispettosi, interessati, immersi in un flusso percettivo che non si può manipolare a piacere. E del resto, non si possono tagliare i processi di organizzazione strutturale attuali dai processi assimilativi che si sono storicamente sedimentati in noi, come Castiglioni ci insegna in Consonante, per flauto e complesso da camera (1962), in Synchronie per orchestra (1963) o nelle già citate Figure (1965) e Ode (1966). La coscienza temporale della percezione balza in primo piano; i parametri musicali non sono qualcosa di astratto, di convenzionale, di arbitrario, le regole strutturali rifiutano di sottostare all'idea di un sistema di segni chiuso in se stesso. Proprio rispettando il fenomeno, uscendo dalla scienza e dalla storia, Castiglioni raggiunge un'atemporalità che non è affatto statica, ma dalla quale, dopo un processo di epurazione e di negazione, si ricostruiscono giudizi etici ed estetici che inglobano natura e storia rinnovandole. In Cronaca del Ducato di Urbino per sei percussionisti, del 1991, è la rapidità del tessuto contrappuntistico a determinare una superficie mobile ed intermittente. La leggerezza dei suoni acuminati si traduce in nitidezza dell'immagine timbrica. Ancora una volta, il timbro non è snaturato o ricercato ma, connesso all'idea musicale a tal punto che ne delimita la percezione temporale, semplicemente ascoltato e proposto. Una volta recuperata la propria corporeità, la musica traccia direzioni di senso che si incontrano, là dove l'opera sa scatenarle, con altre, infinite direzioni, recuperando contenuti simbolici, etici, estetici, scientifici. La piacevolezza, la raffinatezza cristallina di molte sue opere conducono, spesso consottile ironia (penso all'ultimo episodio di Inverno in-ver per piccola orchestra, del 1973, intitolato Il rumore non fa bene. Il bene non fa rumore) nel corpo utopistico di una concezione estetica e scientifica in cui la natura non è l'ineffabile, ma l'essenza del nostro stesso esistere. Del resto, in Quodlibet del 1965, da Figure, il soprano canta le splendide parole tratte da Utopia di Thomas More, colui che avviò la tradizione utopistica dalla quale deriveranno molti testi alchemici e rosacrociani del Seicento. E ancora, nei Dickinson-Lieder per soprano e pianoforte (1977), Castiglioni si stupisce con noi dei versi di Emily Dickinson, per l'appunto citati da Calvino, nelle Lezioni Americane, come esempio di un "alleggerimento del linguaggio per cui i significati vengono convogliati su un tessuto verbale come senza peso, fino ad assumere la stessa rarefatta consistenza". Non può certo essere un caso che questi vettori portino là dove i valori percettivi funzionano e la comunicazione scatta. La musica, qui, comincia a dilatare, ad uscire dai confini di un sistema rigido di segni per espandere all'infinito i propri contenuti metaforici.

Ho parlato di dense esperienze a proposito degli ultimi lavori. Poteva sembrare una provocazione, visto il tessuto ancora più spoglio, ridotto veramente a gesti minimi, essenziali, che li caratterizza. Ma è proprio qui, nell'aver accumulato esperienze che mai hanno rinnegato il sistema strutturale percettivo individuale e sociale, che la sua musica sconfina verso tensioni extramusicali seppure incredibilmente interiorizzate. Sul confine con il silenzio, nei disegni giocosi e infantili che decorano la partitura di Grüezi, destinata ad un oboe bucolico, poetico, candido o in Romanzetta per flauto, si è insinuata la forza morale dell'ironia. Nei tratti comuni a queste recenti opere (aforistiche, concise, fatte di forme brevissime, animate da un trasparente contrappunto e con finali spesso imprevedibili, quasi "sigle") si coglie una sorta di minimalismo surreale, come in Sinfonie a due voci per contrabbasso e voce di contralto. Ironia e candore segnano un momento decisivo del Novecento, un momento bellissimo, emozionante, già preannunciato da Castiglioni in anni che non sono poi così lontani. A questo punto, le sorprese che il suo catalogo ci riserverà non potranno distaccarsi, ne sono convinta, da quanto nella sua opera è già avvenuto. È da un fondamento unitario che nasce l'autentico molteplice d'oggi.

Lidia Bramani (1992)
© dal Catalogo delle opere curato da MariaCristina Giorgi, pubblicato da Casa Ricordi - Milano.

Aggiornato a 10/2004